SPORTBOUNCE: troppo facile convocare ma non escludere
Troppo facile. Fare certe cose, molto più difficile farne altre. Luca Tramontin preciso come un orologio svizzero e tagliente come una lama di un coltello, svizzero ovviamente, analizza il troppo facile e per esclusione il troppo difficile nello sport. SPORTBOUNCE che (forse) vi siete perso: “Volata (sport gaelico…” e “basta con meglio che niente”. Cliccateci sopra a tutto c’è rimedio … è troppo facile!
Troppo facile dire chi convocare ma non chi escludere
Quando un giocatore viene escluso dalla nazionale troppi giornalisti e blogger dicono/urlano che dovrebbe essere convocato, ma non al posto di chi.
Fingono di non ricordarsi che per convocare uno devi lasciare fuori un altro.
Pochi tifosi ti sanno dire con esattezza quanti giocatori si possono convocare o pre-allertare per un torneo, quindi la cliccata scandalizzata viene facile: a ogni escluso di rango si sbraita (mica tutti ovviamente) che «bisogna essere matti a lasciare fuori quello».
La completezza richiederebbe di indicare al posto di chi, ma questa è la parte antipatica e la affrontano in pochi.
L’urlo in favore («merita un posto!») crea consenso.
L’analisi di contesto («merita un posto a costo di lasciare a casa X») crea dissenso o noia.
«Non si può lasciare fuori uno così!» funziona. Si basa anche sulla recente abitudine di leggere i titoli e non i contenuti per esteso, molti direttori di giornale (di carta o di digit) hanno capito che il titolo rende più dell’articolo. E costa meno.
Che rimbalzo ha questa attitudine nella nostra mentalità quotidiana?
La mancanza di aritmetica di contesto facilita lo sbraito e la richiesta di attenzione, e allena alla non analisi.
Per analogia molto semplice (e voglio vedere quanto negabile), posso protestare a favore di fondi per X o Y, ma senza dire dove li toglierei o li prenderei. Vero anche che non sempre sta a me indicarlo, e che le emergenze sono emergenze, ma lo sforzo mentale va comunque fatto.
Credo abbiamo appurato che gli atteggiamenti sportivi di massa e i comportamenti quotidiani sono un meccanismo a ricircolo che si alimenta o disalimenta in stile dinamo, al punto di non sapere esattamente dove sia il punto di partenza.
Quando dico a qualcuno di non fare un certo tipo di esercizi o non fidarsi di un certo tipo di fitness, cerco automaticamente (e non è detto che trovi) un’alternativa, un riempire dove tolgo.
Se trovo dannoso un mediano di mischia per una nazionale, cerco di specificare che mi riferisco a quello specifico modulo di gioco e torneo o campionato o match e non sto dicendo «non è bravo» come termine di valore assoluto. Indico a parte che, metti caso, uno meno bravo può essere più adatto a quel momento agonistico o alla mentalità di quel posto (paese, nazione, squadra).
E che il selezionatore che la pensa diversamente ha solo elementi e visioni diversi dalle mie. E il numero di convocati non si allunga come una fisarmonica solo perché hai molti campioni in quel ruolo.
Sia chiaro che mi piace l’analisi
Sia chiaro che mi piace l’analisi, che i colleghi selezionatori sbagliano, e perfino che sono pagato per esprimermi sulle convocazioni e le esclusioni, ma non trovo onesto farla troppo facile, trascurare «dettagli» come la durata del torneo (un brutto carattere ha più facilità di essere utilizzato per una partita in casa che per un mondiale che ti fa vivere insieme per un mese).
O le informazioni sulle cartilagini del ginocchio o le condizioni del figlio che i selezionatori conoscono e io (anche se magari ho giocato, mangiato e bevuto con loro) invece no.
Serie SPORTBOUNCE – Art. 3
Autore TV, Scrittore, Atleta