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Perché l’ecologia ha bisogno del nucleare

“Che piaccia o no, l’energia nucleare è un tema che genera discussioni accese e opinioni spesso contrastanti. In questo articolo, ascoltiamo il parere dello scienziato Paolo Musso. Vi invitiamo a leggerlo attentamente fino in fondo, prima di esprimere un giudizio. Impariamo ad ascoltare e, solo dopo, eventualmente confutiamo. Evitiamo approcci ‘binari’, soprattutto in una democrazia!”

La scelta di dire no al nucleare

Che appena finita l’emergenza sanitaria ci saremmo dovuti occupare di quella ambientale lo sapevamo già. La guerra in Ucraina, con l’annessa crisi energetica, ha solo reso la questione più urgente e più seria. Almeno un vantaggio, però, questa tragedia potrebbe averlo: quello di costringerci ad agire con maggior realismo rispetto a quanto abbiamo fatto col virus.

Una prima cosa che la guerra ci ha dimostrato è che un po’ in tutta Europa, ma in particolare in Italia manca da almeno trent’anni una seria politica energetica. Infatti, la dipendenza dall’estero (non solo dalla Russia), che ci sta costando così cara, non è una fatalità. Ce la siamo auto-imposta a forza di “no-a-tutto”, basati su un ecologismo ideologico, irrazionale e antiscientifico.

Il nostro errore più grave è stato quando abbiamo rinunciato, unici tra i paesi progrediti, al nucleare, che tra l’altro era il migliore al mondo. Tant’è vero che, quando venne chiuso, nel 1988, l’Ansaldo Energia aveva ordini dall’estero per 4.000 miliardi di lire, equivalenti a oltre 5 miliardi di euro attuali, tenuto conto dell’inflazione.

Il risultato è che ora compriamo l’energia nucleare dagli altri, soprattutto dalla Francia, che produce in questo modo il 70% della sua elettricità, ma anche da paesi molto più arretrati di noi, come la Slovenia. E tutto ciò senza nessun vantaggio per la sicurezza, perché nel resto d’Europa si sono più di cento centrali nucleari, delle quali circa la metà in Francia. Perciò se ci fosse un incidente verremmo coinvolti anche noi, mentre i vantaggi se li godono solo gli altri.

Più vittime per incidenti da energia pulita che a causa del nucleare (a parte Chernobyl)

Ma in realtà questo è un falso problema. A parte Chernobyl, infatti, fino a oggi nel mondo non è ancora morta neanche una persona a causa di incidenti avvenuti in centrali nucleari.

Che tra l’altro sono stati pochissimi. Non è morto nessuno neanche a Fukushima, dove in compenso il terremoto che ha provocato il presunto “disastro”, di cui tutti ancora parlano, ha causato il crollo di una diga che ha ucciso oltre 400 persone, di cui invece nessuno parla mai.

Nucleare : Diga del Vajont
Diga del Vajont Diga del Vajont by VENET01 is licensed under CC BY-SA 4.0.

E non si tratta di un caso isolato. In Italia, per esempio, abbiamo avuto il disastro del Vajont, in cui morirono 1.917 persone. Ma già in passato c’erano stati altri due incidenti meno noti, ma ugualmente gravissimi: nel 1923 il crollo della diga del Gleno, in cui morirono 356 persone, e nel 1935 il crollo della diga del Molare, che ne uccise altre 115. E con questo siamo già a 2388. Solo in Italia

Ma questo è ancora nulla. Lo sapevate che nel 1975 il crollo del sistema di dighe della gigantesca centrale idroelettrica di Banqiao, situata circa 300 km a nord-ovest di Shangai e distrutta dal tifone Nina, fece addirittura 171.000 morti? Sono all’incirca quanti ne ha causati il Covid in Italia in tre anni.

Ho cercato di fare una stima a livello globale, ma neanche nelle migliori banche dati si riescono a trovare delle statistiche complete, il che è molto significativo: evidentemente, i morti da energia “pulita” non interessano. Ma di certo il numero totale di morti causati dai crolli delle dighe degli impianti idroelettrici è almeno dell’ordine di alcune centinaia di migliaia, se non addirittura milioni.

Di certo sono milioni (si stima oltre 80 nel mondo) almeno i “profughi da dighe”, cioè le persone costrette a lasciare le proprie case per permetterne la costruzione: certo, non sono tutte per l’idroelettrico, ma in buona parte sì. Infine, le grandi dighe alterano il clima e gli ecosistemi.

Sempre Si all’energia idroelettrica e sempre No al nucleare. Il caso Chernobyl

Nucleare: Chernobyl
Chernobyl and Pripyat by Roman Harak is licensed under CC BY-SA 2.0.

Eppure, nessuno ha mai parlato per questo di rinunciare all’energia idroelettrica. E giustamente, perché se lo facessimo i danni sarebbero di gran lunga superiori. Ciò che è invece incomprensibile è che molti ritengano perfettamente ragionevole rinunciare alla ben più sicura e meno invasiva energia nucleare.

Si dirà che però l’incidente di Chernobyl basta e avanza. Ma anche questo è del tutto falso, perché Chernobyl rappresenta un’assoluta anomalia.

Anzitutto, conteneva dei gravi errori di progettazione. Di questo se ne accorse durante un congresso nel 1976, quando la centrale era ancora in costruzione, la delegazione italiana guidata da mio padre, che è stato a capo del piano nucleare italiano dalla sua nascita fino alla sua sciagurata chiusura.

Gli italiani avvertirono i loro colleghi del problema, offrendosi anche di aiutarli a risolverlo. Gli scienziati sovietici si resero conto che avevano ragione, li ringraziarono e accettarono la loro offerta. Ma, tornati in patria, il governo sovietico li rimproverò severamente per essersi fatti ingannare dai rappresentanti della “scienza capitalista” e impose loro di proseguire la costruzione della centrale senza modifiche.

Chernobyl entrò in funzione l’anno seguente

Chernobyl entrò in funzione l’anno seguente e, nonostante tutto, andò avanti senza problemi per 9 anni. Forse non sarebbe successo mai nulla, se nel 1986, per motivi incomprensibili, il direttore non avesse voluto eseguire a tutti i costi, contro il parere di molti suoi collaboratori, un test assurdo, per il quale disattivò gran parte dei sistemi di sicurezza. Fu questo che causò l’esplosione del reattore. Che però non fu un’esplosione atomica, semplicemente perché non poteva esserlo.

Per avere una reazione a catena, sia in una bomba atomica che in una centrale nucleare, ci vuole infatti l’uranio 235, che in natura è rarissimo e si trova mescolato al ben più comune uranio 238. In entrambi i casi è quindi necessario aumentare la percentuale di uranio 235, con un processo chiamato “arricchimento”. La differenza è che per le centrali basta arrivare al 5%, mentre per fare una bomba ce ne vuole più del 90%. Pertanto, le centrali nucleari non esplodono come bombe, semplicemente perché non sono bombe.

Il problema e l’attenzione in una centrale va posta nell’impianto di raffreddamento

L’unica cosa che può esplodere in una centrale è l’impianto di raffreddamento. Infatti, per raffreddare il nocciolo di uranio gli si fa passare sopra dell’acqua, che così si trasforma in vapore radioattivo. Normalmente il vapore prosegue poi il suo viaggio per venire a sua volta raffreddato e rimandato a raffreddare il nocciolo. Il tutto senza mai uscire dai tubi. Insomma, si tratta di un sistema a circuito chiuso che, radioattività a parte, non è poi molto diverso da quello dei nostri termosifoni.

Se per qualche malfunzionamento la pressione del vapore diventa eccessiva, può fare esplodere i tubi e disperdersi nell’atmosfera e in parte, una volta tornato allo stato liquido, anche sulla terra o in mare, diffondendo una certa quantità di radiazioni, che a breve distanza sono letali. E proprio questo è successo a Chernobyl (nonché a Fukushima). A ciò si aggiunse poi la totale impreparazione dei soccorritori e il colpevole ritardo nell’evacuazione della popolazione civile. Non è quindi esagerato dire che a Chernobyl si morì assai più di ideologia che di nucleare.

Ma quante furono le vittime a Chernobyl?

Eppure, nonostante tutte queste incredibili circostanze, le morti attribuibili con certezza a Chernobyl sono appena 65: le due vittime dell’incidente, 28 membri delle squadre di emergenza che morirono per l’esposizione alle radiazioni nei mesi successivi e altri 35 a distanza di anni. Le altre morti sono state stimate, in modo ben più incerto, in base alle variazioni statistiche delle malattie che potrebbero essere state causate dalle radiazioni.

In ogni caso, anche secondo le stime più pessimistiche (e per niente certe), il totale dei morti di Chernobyl non supera i 4.000, cioè appena il doppio del Vajont e oltre 40 volte meno del solo incidente di Banqiao. A sostenere che i morti di Chernobyl sarebbero molti di più ormai è rimasta solo Greenpeace, il che è già un chiaro segno che ciò è inattendibile. Ma soprattutto è fisicamente impossibile.

Il motivo è che le radiazioni, come qualsiasi altro fenomeno diffusivo, si attenuano in proporzione al quadrato della distanza. Ciò significa che, se a 1 km dall’epicentro si ha un certo livello di radioattività, a 10 km tale livello sarà 100 volte inferiore, a 100 km sarà 10.000 volte inferiore e a 1.000 km sarà addirittura un milione di volte inferiore. È chiaro quindi che, se a grandi distanze le radiazioni fossero state ancora letali, a distanze inferiori avrebbero dovuto morire tutti, il che invece non è accaduto.

Una balla cosmica

Tra parentesi, ciò significa che il pericolo che un indicente in qualche centrale nucleare russa o ucraina possa avere conseguenze gravi per gli altri paesi europei è una balla cosmica, ed è molto grave che ci siano molti che la usano per spaventare la gente in modo che si opponga agli aiuti militari all’Ucraina. Tanto più che, ben lungi dall’essere eccessivi, sono invece assolutamente insufficienti e per di più vengono quasi tutti dagli Stati Uniti, mentre quelli europei finora sono stati semplicemente ridicoli (leggi questo articolo).

Quanto al costo, non servono argomenti teorici: basta guardare la Francia, che produce con il nucleare il 70% della sua energia elettrica. Se non fosse conveniente, costerebbe di più da loro. Invece costa di più da noi, di ben il 50%.

Le energie rinnovabili

Ma, obietterà qualcuno, non sarebbe ancora più conveniente produrla tutta con le rinnovabili? La risposta è ancora no.

Anzitutto, negli ultimi anni la loro efficienza è migliorata molto, ma è ancora piuttosto bassa (se così non fosse, d’altronde, non avrebbero bisogno degli aiuti statali per diffondersi). Ma, soprattutto, il problema è che eolico e solare producono energia in modo incostante e imprevedibile, perché dipendono dai capricci del clima, che è per natura incostante e imprevedibile.

Ora, soprattutto in un paese industrializzato come il nostro, la rete elettrica ha bisogno di essere molto stabile. Come spiega Vaclav Smil, il più grande storico vivente dell’energia, «un sistema […] con elettricità disponibile per il 99,99% del tempo può sembrare altamente affidabile, ma l’interruzione totale annuale sarebbe di quasi 53 minuti». Per eliminare pressoché totalmente il rischio di blackout occorrerebbe un’affidabilità del 99,9999%, che porterebbe a una carenza di energia di appena 32 secondi all’anno, mentre «l’attuale performance statunitense è di circa il 99,98%», che, per quanto elevatissima, espone già al rischio di vasti blackout della durata di alcune ore, che in effetti in questi anni si sono puntualmente verificati (cfr. Smil, Energia e civiltà. Una storia, Hoepli 2017, p. 335).

Perciò, se vogliamo davvero aumentare significativamente l’uso delle rinnovabili senza rendere la nostra rete elettrica a continuo rischio di collasso, anche quando avremo finalmente reso soddisfacenti le loro prestazioni, accanto ad esse dovremo comunque continuare a usare anche qualche tecnologia capace di produrre energia in modo continuo e regolare.

E l’unica tecnologia che possa farlo senza produrre nessuna emissione di CO2, piaccia o non piaccia, è il nucleare.

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