Globe Today’s

Notizie quotidiane internazionali

Newark: un futuro di QR code, efficienza e meno libertà

QR code e libertà a Newark

QR code: uomo con QR code
Furo fatto di QR code (by Hebi B.)

A metà giugno, mentre andavo a un congresso alla State College University in Pennsylvania, ho fatto scalo all’aeroporto di Newark. E lì ho visto il futuro. O, almeno, una parte del nostro futuro, così come una parte (ampiamente minoritaria, ma estremamente organizzata e determinata) della nostra società lo vorrebbe. E non mi è piaciuto per niente.

L’aeroporto è bellissimo, efficientissimo e anche comodissimo. Ovunque è pieno di tavoli con prese di corrente dove ci si può sedere sia per mangiare che per leggere o scrivere al computer. L’unico fastidio, almeno per chi viene da fuori, è che tutte le prese di corrente tradizionali sono state sostituite con prese USB, come quelle che ormai si usano per ricaricare tutti i cellulari, ma non ancora tutti i computer. Ma questo è un problema temporaneo e facilmente superabile.

Pro può essere e i contro?

C’è però un altro dettaglio: qualunque cosa tu voglia fare, a parte (almeno per ora…) andare in bagno, devi scannerizzare un QR code col tuo cellulare.

Ti servono informazioni? QR code e accederai al sito dell’aeroporto. Non ti basta e vuoi parlare con un addetto? QR code e ti verrà inviato il suo numero. Vuoi mangiare? QR code e ti comparirà il menù. Devi pagare? QR code e accederai alla pagina relativa.

Meraviglioso, no? Beh, mica tanto…

Anzitutto, ciò significa che a Newark non si può pagare in contanti, benché nessuna legge lo proibisca (infatti, all’aeroporto di Chicago durante il viaggio di ritorno l’ho fatto senza problemi). Ma non solo: non si può pagare neanche con la carta di credito. Non direttamente, almeno. Bisogna per forza entrare nel sito del bar o del negozio e inserire lì i propri dati.

Inoltre, ciò introduce un obbligo di fatto di possedere un cellulare. È vero che ormai ce l’hanno quasi tutti e ancor di più quelli che viaggiano in aereo. Ma se anche ci fosse uno solo che non ce l’ha, in assenza di un obbligo di legge è comunque un sopruso. Inoltre, anche chi lo possiede potrebbe avercelo scarico o guasto. E allora cosa fa?

By Niko Loiz

Alla ricerca di un’alternativa

Beh, posso dirvi cosa ho fatto io. Il mio cellulare in effetti funzionava, ma siccome i soprusi non mi piacciono, ho deciso di fare obiezione di coscienza.

Per prima cosa ho detto al cameriere che in Italia non siamo abituati a quel sistema. Lui allora ha cominciato a snocciolarmi nomi di italiani famosi, tipo Baggio, Pavarotti e altri che non ricordo, che sarebbero passati da Newark e l’avrebbero usato senza problemi (il che era anche possibile, ma che fossero passati tutti dal suo bar un po’ meno).

Ho cercato ancora di spiegargli il mio punto di vista, ma lui ha ricominciato a ripetere a macchinetta la lista dei famosi di cui sopra. Per un momento mi sono chiesto se non avessero sostituito anche i camerieri con dei robot controllati da ChatGPT (allora non avevo ancora fatto nessun esperimento al riguardo, altrimenti avrei saputo che era impossibile, perché su dieci nomi che mi ha citato almeno tre o quattro sarebbero stati inventati: vedi questo .Poi ho deciso di cambiare tattica.

Può essere efficace fare il “tonto”

Durante i miei numerosi viaggi ho imparato che spesso, anziché sforzarsi di spiegare al meglio i propri problemi, è molto più efficace fare il tonto. Infatti, la gente quando vede che non capisci si stufa di discutere e trova meno faticoso aiutarti che insistere a spiegarti cosa devi fare. Bisogna sacrificare per un po’ il proprio orgoglio, ma funziona. Ha funzionato anche stavolta.

Il cameriere ha tirato fuori un tablet, ha aperto il sito e mi ha mostrato il menù. Io ho scelto, gli ho detto cosa volevo e lui l’ha segnato nell’ordine. Alla fine mi ha aperto la pagina per il pagamento e io ho provveduto a inserire i miei dati.

Nel frattempo si era creato un minimo di dialogo e ho scoperto che il tipo era simpatico, così alla fine gli ho detto la verità. Poi gli ho mostrato la lampada di fianco al tavolo, che era accesa nonostante fosse mezzogiorno, e gli ho spiegato perché, questioni di principio a parte, trovavo assurdo quel sistema. Infatti, ogni consultazione del menù e ogni pagamento effettuato attraverso il sito consumava una quantità di energia pari a quella consumata da quella lampada nell’arco di diverse ore.

Sorprendentemente, lui mi ha risposto che lo sapeva e che anche lui lo trovava assurdo. Allora ci siamo fatti una chiacchierata sul tema (breve: dopotutto lui stava lavorando) e siamo giunti alla conclusione, da entrambi condivisa, che il nostro mondo è governato da una banda di pazzi. Poi ci siamo raccontati qualcosa di noi.

Alla fine ci siamo abbracciati e io mi sono rimesso in viaggio verso il mio congresso, felice che l’uomo avesse ancora una volta sconfitto la macchina. Ma, giunto a destinazione, mi aspettava una brutta sorpresa.

Se non c’è il QR code c’è la mail

By M Ribkhan

che si svolge come segue. Il moderatore fa scorrere sullo schermo l’elenco dei testi da discutere. I partecipanti (seduti davanti a lui) devono iscriversi e poi richiedere via mail i testi a cui sono interessati. Il moderatore spedisce i testi via mail. Infine, sempre via mail, ciascuno può inviare i propri commenti sullo schermo gigante della sala, dove gli altri possono leggerli e replicare.

La macchina si era presa la sua rivincita sull’uomo.

Forse a questo punto qualcuno mi chiederà: che male c’è a rendere più rapidi ed economici certi processi automatizzandoli? Ebbene, purtroppo c’è molto di male.

Anzitutto, non è affatto vero che questo sistema sia più rapido ed economico. Cioè, per il bar lo è, ma solo perché scarica lavoro e costi sui clienti e sulla collettività. Infatti, consultare un menù sul cellulare è molto scomodo, perché lo si può vedere solo a pezzetti. E questo è ancora niente. A Parigi, lo scorso settembre, non ci hanno più dato la mappa cartacea del Congresso mondiale di astronautica, che è immenso, e per consultare quella elettronica si diventava matti perfino usando il computer.

Anche il pagamento attraverso il sito è molto più lento. Inoltre, se questo sistema diventasse comune, crescerebbe in modo esponenziale il numero dei luoghi in cui sono registrati i nostri dati personali. E con ciò crescerebbe, fino a diventare quasi certezza, il rischio che ce li rubino, dato che non esistono sistemi di sicurezza totalmente inattaccabili.

CIA, FBI e Pentagono sono state hackerate almeno una volta

Basti pensare che tutte le più importanti istituzioni del mondo, compresa la CIA, l’FBI e il Pentagono, sono già state hackerate almeno una volta. L’unica a cui non è mai successo è il CERN, ma solo perché la sua rete interna (quella dei computer che gestiscono l’acceleratore e i dati da esso raccolti) non è collegata a Internet.

E poi ci sono i costi. È chiaro che al bar conviene usare questo sistema, perché paga una bolletta elettrica un po’ più alta, ma può tenere meno personale. Peccato che ci sia un elevatissimo costo “occulto” che in tal modo viene scaricato sulla collettività, anche se perlopiù non ci pensiamo, a causa dell’assurda retorica della “dematerializzazione”.

Internet non è immateriale e la macchina più grossa e costa

Ma Internet non è affatto immateriale. Al contrario: è di gran lunga la macchina più grossa, più pesante e più energivora mai creata nella storia umana. Pensiamoci e lo capiremo da soli.

Ogni comunicazione, infatti, implica un flusso di elettricità o di onde radio che viaggiano dal nostro dispositivo al server che ospita il sito, la casella di posta o quant’altro a cui ci stiamo collegando. Ora, la Terra ha una circonferenza di 40.000 km, il che significa che il punto più lontano (gli antipodi) dista 20.000 km. Quindi, se comunicassimo in modo uniforme con ogni punto del mondo la distanza media coperta da ogni nostra comunicazione (attenzione: intendo da ogni singolo click che facciamo sul nostro computer o cellulare o tablet) sarebbe di ben 10.000 km!

Naturalmente non è esattamente così, perché, nonostante tutto, ancor oggi noi comunichiamo di più con persone, imprese e istituzioni a noi geograficamente vicine. Che però magari hanno il server del loro sito negli Stati Uniti o in Azerbaijan. In particolare, ogni volta che facciamo un pagamento elettronico, tra le altre cose c’è sempre un segnale che deve raggiungere il server della banca della nostra città, in qualunque parte d’Italia o del mondo ci troviamo.

Tutto considerato, quindi, è abbastanza intuitivo che la distanza media dev’essere almeno di diverse centinaia di km, se non di migliaia. E la scienza lo conferma.

Mediamente, infatti, inviare via Internet 2 megabyte (la dimensione di una fotografia ad alta risoluzione) consuma quanto tenere accesa una lampadina standard (60 watt) per un’ora. E consultare un sito Internet o effettuare un pagamento elettronico, pur avendo un “peso” variabile a seconda dei casi, di sicuro richiede molto più di 2 mega.

La moneta tradizionale ha un costo energetico quasi nullo

Al confronto, la moneta tradizionale ha un costo energetico quasi nullo, concentrato quasi tutto al momento della sua produzione. Dopo, l’unica energia richiesta è quella muscolare necessaria a portare con sé il portafogli, aprirlo e passare i soldi alla nostra controparte. Perciò, solo nel caso di pagamenti a distanza, che comporterebbero lunghi viaggi, il pagamento elettronico ha senso.

Invece, usarlo quando paghiamo di persona sarà forse più comodo per noi, sarà utile allo Stato per avere un maggior controllo (il che, peraltro, ha anche diversi aspetti negativi), ma dal punto di vista ecologico è un puro nonsenso. E lo stesso vale per i menù dei bar, per le mappe dei congressi e per tutte le altre cose del genere.

Ma c’è un’ultima domanda, la più importante di tutte. Indipendentemente dal costo energetico, che senso ha comunicare via computer o cellulare con una persona che ho davanti al naso?

Eppure, la pandemia dovrebbe averci insegnato che in questo modo alla lunga i rapporti si disumanizzano al punto che perfino la nostra salute mentale ne risente. Davvero, dopo essere appena usciti dalla prigione di mattoni in cui si erano trasformate le nostre case, vogliamo lasciarci di nuovo rinchiudere in una prigione elettronica, invisibile, stavolta, ma non meno reale?

Se non mi fossi ribellato alla dittatura del QR code, io e il cameriere di Newark ci saremmo scambiati a stento due parole preconfezionate, non ci saremmo mai raccontati le nostre storie e non ci saremmo mai abbracciati.

La transizione digitale

Se pensate che si possa vivere bene anche rinunciando a tutto questo, allora non fate nulla e date pure il benvenuto al mondo nuovo che sta per piombarci in casa. Ma se invece ritenete che un bar non sia soltanto un luogo in cui ingurgitare calorie e un’università non sia soltanto un luogo in cui scambiarsi dati, allora cominciate anche voi a ribellarvi a questa versione scema della “transizione digitale” che stanno tentando di ficcarci in testa.

Tornerò presto sull’argomento. Nell’attesa, cominciate a rifletterci.

Verified by MonsterInsights