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”La Letra mai Letta”: Il salto dell’acciuga

A Laigueglia (SV), Domenica 13 ottobre, dalle ore 15, il tango in musica, passi e parole per lo show “La Letra mai Letta” ne il Salto dell’Acciuga

La letra: il tango
Il tango: passione e musica

La Letra mai Letta

Lei è Monica Mantelli, la lettera mai letta, anzi “La Letra mai Letta” ne Il Salto dell’Acciuga, è uno “show live” fatto di tango in musica, passi e parole. Tutto vero, autentico e dal vivo, offerto a un pubblico di appassionati, non solo di turisti o residenti, allestito su un palco all’aperto di Laigueglia (SV), uno dei borghi marinari più belli d’Italia. Sulla scena tra le note di Piazzolla e De André, il fisarmonicista Gianni Martini e una ventina tra Maestri e ballerini. Tango e Argentina si fondono, e la presenza del Console Aggiunto, Simon Germanetti, ne sottolinea il legame con la cultura sudamericana.  Di tutto questo, è solo l’inizio di una collaborazione con Globe Today’s, ne parliamo con l’autrice e regista torinese Monica Nucera Mantelli, che firma anche la sceneggiatura.

Domande e risposte con Monica Mantelli

Nella produzione de La Letra mai Letta, sia come sceneggiatrice che come regista, Lei usa il tango come mezzo per raccontare (cito) “viaggi oltre oceanici, pene del cuore, aspirazioni e travagli, disastri inaspettati e seduzioni”. Cosa significa in particolare partire dal tango per costruire uno spettacolo che forse ambisce a qualcosa di più che il puro divertimento?

Il tango rioplatense è tante cose. Non è solo musica, come non è solo esibizione, e neppure solo ballo sociale, come invece gran parte della gente pensa. Il tango non è nemmeno solo poesia, o, agli opposti, “moda”. Il tango è anche transumanza di popoli e generazioni. È sradicamento e riscatto. È un rito individuale e collettivo nella ricerca di una appartenenza.

Per citare Ferrer, il paroliere di Piazzolla, “è blues, cueca, choro, danzón, romancero”. Ma è anche murga, habanera, candombe, polka e valzer, quando in Argentina arriva l’influsso dalla Germania, Francia, Austria. Dall’ Europa, insomma. E infine, con Piazzolla, il tango diventa anche jazz e rock. È uno stile di vita, con i suoi “codigos”, i suoi codici non scritti, e le sue vestizioni “tribali”, talvolta d’ antan. Musicalmente è un genere tripartito (tango, vals, milonga), ma non è solo strumentale. Spesso è “memoria” trasferita sotto forma di “tango cancion”. Offre testi “manifesto” ovvero canzoni che tracciano, tra colpi di pennello, piume di struzzo e di coltello, un’epoca o una condizione umana universale.

Possiamo dire che il tango si veste di stracci o paillettes, a seconda dei casi. I testi dei brani cantati – anche detti Letras, appunto – ovvero canzoni scritte in linguaggio “lunfardo”, un gergo forgiato da tanti dialetti e lingue diverse proprio grazie ai viaggi per mare verso il Sud America da parte di Europei, Africani, Creoli etc., che hanno contribuito a mescolare e depositare una stratificazione di musica, danze, tradizioni e ricette (come le empanadas di origini Sarde) mescolatesi proprio dentro le pance dei piroscafi.

In quest’opera scenica si respira l’allure dell’emigrazione. Questo tema è di grande attualità. Dalle emigrazioni per le guerre e le instabilità politiche, a quelle pseudo-religiose e climatiche, oggi gli esodi non sono più solo da sud a nord, ma toccano tutti i punti cardinali. Con quali nuovi e antichi messaggi la sua sceneggiatura tra Piazzolla e De André affronta le storiche migrazioni tra Italia e Argentina?

La corrispondenza tra i marinai e le loro famiglie passava per il mare, spesso affidata alle botti. Quando i marinai si imbarcavano, non sapevano esattamente quando sarebbero tornati. Il Fato – in questo dare a degli ex contenitori di vino la fiducia di “tornare a casa” – è molto da America latina, e il gioco di intrecci nella trama di questo tango show nasce proprio su un caso reale, quello di Lorenzo che scrive alla sua futura sposa, ma questa sua lettera si perderà, e le loro vite cambieranno inevitabilmente. Una storia vera, tra le decine di migliaia che si sono succedute in tutto il mondo. Da queste mancate consegne di missive, è nato un epistolario “mancante”, uno iato storico, familiare e sociale. 

La sfida più grande de La Letra mai Letta è stata quindi quella di trovare una “letra de tango” che potesse corrispondere alla mancata consegna, realizzando una sceneggiatura che prenda sia spunto da una serie di ricordi annessi alla memoria locale di Laigueglia, contenuti in un libricino scritto da Emilio Grollero dal titolo “Perché non vadano mai via” (che già di per sé è un dichiarativo del fatto che, in realtà, già molti se ne sono già andati via). Ma anche quello di amalgamare insieme ingredienti di plot narrativo tipico del Tango e dell’Argentina. E del bandoneonista argentino, così come il cantastorie ligure, più famoso nel mondo.

C’è una cifra originale in questo suo nuovo lavoro con Casa de Tango by Etnotango che ha a che fare con la difficile condizione dell’Uomo oggi. Questo elemento porta un segno particolare in questa produzione. Ce ne può parlare?

Sì. Ne la Letra, abbozzo alla sempre più difficile convivenza tra esseri viventi e territorio, a causa della violenza – scommessa dell’uomo sull’urbanizzazione rispetto alla campagna e ambiente rurale – (vedasi in parallelo La Pampa Argentina). Oppure la fatica di vivere a causa della difficoltà economica crescente negli strati sociali medio bassi, al limite della sussistenza, che sta rendendo invivibili quei luoghi nei quali si sono rifugiate milioni di persone che vivono spesso ai margini della società. Tutto ciò ha fatto sì che una parte di questa popolazione, ormai emigrata, non faccia più riferimento interiore alla propria terra di origine ma neppure a quella nella quale ormai risiede.

Motivo per il quale spesso c’è profondo spaesamento, non c’è identità tra ciò in cui si vive e ciò che si è. Questo porta a una chiara forma di alienazione e a un intimo distacco dallo spazio abitato, che viene conseguentemente ancor più trascurato. La psicanalisi tratta ampi studi a riguardo. Ma anche l’arte contemporanea! Faccio riferimento ai lavori per esempio legate al “desarraigo” (sradicamento) di un artista magrebino, ex marinaio, come Bruno Catalano, che lavora sulla metafora del Viaggio – il quale peraltro in questo periodo sta esponendo a Genova, ma anche vicino a Laigueglia, ad Alassio – creando grandi sculture in bronzo che rappresentano emigrati “stracciati” o non finiti in alcune parti del corpo.

L’autrice e regista Monica Mantelli

Continua la regista…

Osservandole, si evince chiaramente quanto questo slabbramento tra quelli che sono i propri valori personali, anche di origine familiare o etnica, si scontrino con le leggi più crude e dure della nuova vita e lavoro. Penso ancora come nel tango si parli di golondrinas (rondini), lavoratori stagionali.  Allora come in parte ancora oggi, pensando al capolarato in Italia, come in America Latina.

Come vede, non c’è molta diversità tra passato e presente. Ma questo fenomeno ovviamente ingenera malcontento, male di vivere direbbe Cesare Pavese, fatica esistenziale, rabbia, depressione. Elementi per cui facilmente si arriva allo scontro e si è più manipolabili. Dal micro al macro poi è facile raggiungere quello che Lei ha posto nella domanda, cioè il concetto del grande conflitto come sono appunto le guerre.

Dunque si tratta di un pout pourrì di vite ed esperienze, che si sfiorano e si intersecano come in una stazione, tipo “sliding doors”?

Esattamente! Ma sul mare, in un porto. Molti italiani, molti liguri, nello specifico, hanno lasciato il loro paese d’origine da Genova per un riscatto sociale verso una vita migliore nell’oltre Oceano. Dicevo, la sfida più grande è stato trasferire con rispetto e in modo originale, alcune “spezie” del messaggio primario che Grollero, storico del territorio, aveva raccolto già anni fa, tramite la memoria orale della popolazione laiguegliese, inserendovi però tratti identificativi del tango, oltre al cantautorato di Faber, che sul tema “vita di mare” tanto ha composto. 

Il libretto “Perché non vadano mai via” mi ha offerto un punto di partenza sull’ispirazione iniziale. Su di esso ho incastonato alcune memorie degli avi che si sono succeduti nelle molte migrazioni verso il Mar de la Plata, tra Argentina e Uruguay, il luogo del tango battezzato geograficamente tra Montevideo e Buenos Aires.

Tramite poi la ricerca di Letras specifiche che trattano temi come il rifarsi una identità dopo esser stati malandrini, allo sposarsi a distanza, al consumarsi per amore nell’attesa di un ritorno che non ci sarà mai – ho esplorato e recuperato elementi da ciò che era la corrispondenza nei tanghi, e non solo di amorosi sensi.

Dunque, tutta la narrazione sull’erotismo peccaminoso del Tango che ad oggi ci è stato instillato a livello iconografico, non è che la punta di un iceberg ?

La letra: Illustrazione di Cinzia Ghigliano
Illustrazione di Cinzia Ghigliano

Ma è ovvio. Cosa vende di più? Il sesso o l’emigrazione? Personalmente, da oltre un trentennio, ovvero da quando studio la produzione culturale intorno al tango – e nello specifico quella di Astor Piazzolla – ho compreso che il tango rioplatense è soprattutto un deposito memoriale preziosissimo, in cui ricadono pressoché tutti gli stilemi, gli archetipi, le disavventure e le dinamiche umane del mondo. E in questo ci stà il catino del bene e del male. È chiaro che, ieri come oggi, fa più notizia la storia di una puttana con un tagliabudella, che non di un figlio che ritrova la propria madre o di una sposa per procura che riesce a raggiungere il promesso marito dall’altra parte del mondo.

Prosegue…

Ne la Letra, ho messo l’uno e l’altro. Nel tango ritrovi le esperienze e i vissuti dei creoli e degli europei, degli schiavi liberati così come quelli di tutti coloro che sono stati perseguitati.  E ne La letra mai Letta (ho scelto un titolo che giocasse sull’ allitterazione) il pubblico assaggia questo metissage, non solo fatto di apparati musicali di alto livello – ciò soprattutto grazie alle esecuzioni e inventiva straordinaria del Maestro fisarmonicista Gianni Martini – o di coinvolgenti interpreti coreutici, come i Maestri Marco Cavalli e Tiziana Ignazzi e tutti gli altri talentuosi protagonisti –  ma c’è anche un’altra parte, più sottile, sottotraccia direi, che a mio parere è più pregnante, ed è  portatrice di un messaggio sociale connesso all’accogliere ciò che è diverso da noi.

Perché questo è ciò che il tango fa: il tango ti crea l’abbraccio con una persona sconosciuta, ti fa vivere camminando all’unisono con chi magari non parla la tua lingua o viene da chissà dove. Ti fa sudare e scambiare emozioni profonde con un lui o una lei di cui forse non conoscerai mai il nome.

Un po’ concerto, un po’ spettacolo, un po’ reading, un po’”manifesto”. Cosa è esattamente La Letra mai Letta?

Il Maestro Gianni Martini e la coppia di campioni di tango Tiziana Ignazzi e Marco Cavalli

Bella domanda. La tecnica di stesura scenica ricorda quella dello “Zainete”, nella sua versione più matura, quando il tango fa capolino con la sua musica da ballo, e poi come colonna sonora portante alle letture o alle declamazioni dello storytelling. Ma in realtà si tratta di uno spettacolo dove ci sono pochissime parole. Molto passa attraverso le atmosfere sceniche, i gesti del corpo, i colori dei costumi, le musiche. La ventina di protagonisti tra ballerini, attori e teatro danzatori interpretano personaggi tipici delle letras del tango, come la Mina, il Payador, il Gaucho o il Compadre. Modelli popolari in grado di dar voce alle dinamiche di un conflitto d’amore, di una bravata, di una prevaricazione o di un duello per la conquista. Tutti temi facilmente riconducibili anche alla vita di oggi.

Mi auguro che la genesi scenica e il pathos musicale de La Letra faccia sì che, sotto forma di metafora visivo- sonora, si riescano a rilanciare valori umani fondamentali, che abbiamo dimenticato, causa l’intolleranza globale sempre più dilagante.

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