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Isole di Plastica e Fast Fashion: la Terra in pericolo

Rifiuti di plastica

Plastica: Terra nella plastica
La Terra è in pericolo (M.Nilov)

Il nostro Pianeta è in serio pericolo e su questo dovemmo essere tutti d’accordo, senza se e senza ma. Oltre ai problemi derivanti dall’inquinamento atmosferico nelle aree più civilizzate, si aggiungono quelli che in maniera sempre più devastante, riguardano vaste superfici della Terra e del Mare, occupate dai rifiuti di plastica e della moda low cost.

“Great Pacific Garbage Patch” 

Uno degli esempi più inquietanti, del quale non si parla mai abbastanza, è la Great Pacific Garbage Patch” letteralmente la “grande chiazza d’immondizia del Pacifico”, un punto dove i rifiuti si accumulano e conosciuto come “l’Isola di Plastica”, che cresce talmente in fretta da essere visibile dallo spazio.

Quest’area è il più grande accumulo di plastica oceanica al mondo scoperto già negli anni ‘80 (ne esistono nel mondo almeno 6 simili, più piccole). Le sue dimensioni sono tre volte quelle della Francia, e si trova a metà strada tra le Hawaii e la California ed è la più conosciuta perché si trova lungo una zona dove passa molto traffico navale.

La massa di plastica è composta da un groviglio di bottiglie, microplastiche, attrezzi da pesca e altro ancora, che viene trasportata dalla corrente dell’oceano e che risulta essere una delle più gigantesche discariche a cielo aperto, creatasi dalla convergenza di rifiuti provenienti da tutto il mondo e che, naturalmente, hanno tempi di smaltimento molto lunghi: il processo di smaltimento di un sacchetto di plastica dura fino ai 20 anni; una cannuccia dura 200 anni e una bottiglia fino a 450 anni …

È evidente che i danni reali dovuti all’esistenza di queste aree chimiche, entrando nel mare aperto, attraverso le maree e le correnti dei fiumi o nella catena alimentare sia degli animali che nel corpo dell’essere umano, dove sono presenti particelle di plastica a causa dell’ingerimento del pesce che a sua volta ingerisce plastica.

“Fast fashion”

Se il mare sta male, l’altro esempio di scempio su vaste zone di territorio terrestre, è in Cile, tra l’Oceano e le Ande, nel deserto Atacama, il più arido del mondo, invaso dalla discarica record di vestiti usati provenienti da Europa, Usa e Canada, con tappa in Cina o Bangladesh, diretta conseguenza della “fast fashion” e del consumismo sfrenato che produce migliaia di tonnellate di rifiuti inquietanti.

Plastica : Deserto Atacama

Le 39mila tonnellate di vestiti, maglioni, jeans, borse, t-shirt presenti, cappelli, pantaloni e gonne, che provengono dai mercati occidentali e indossati per poco tempo, finiscono la loro breve vita tra l’infinita distesa di rocce e sulle dune del deserto. Il settore della moda è uno dei più inquinanti al mondo e il fenomeno della cosiddetta fast fashion ne è la causa principale, con il suo bagaglio di basso costo della manodopera svolta in Paesi in via di sviluppo con lo sfruttamento dei lavoratori e con l’impatto ambientale creato dalla “velocità” che questo fenomeno comporta, per accontentare clienti con prodotti di medio-bassa qualità, “usa e getta”.

Questo luogo, una discarica illegale conosciuta da oltre 15 anni, un enorme  spazio tra Iquique e Alto Hospicio, è considerato il «cimitero mondiale dei vestiti», ormai un simbolo del degrado, certo del consumismo ma anche della grande contraddizione con la povertà di valori, legato anche all’esempio delle isole di plastica, perché anche qui, le montagne di vestiti di qualsiasi tipo sono ricoperte da molto buste di plastica che danzano nei loro voli distruttivi, con centinaia di donne povere che rovistano e riempiono carrelli, di merce sperando di rivenderla…

Anche se il luogo è il più invivibile e arido del mondo, ciclicamente i vestiti sono bruciati per smaltirli e il fumo tossico investe la cittadina di Alto Hospicio, dove gli abitanti, naturalmente, risentono delle conseguenze dei fumi tossici.

In Ghana il cimitero di plastica della “trash fashion”

Il serpente di stoffa continua ad allungarsi per l’altopiano desertico del Cile come nella periferia di Accra, in Ghana, dove si trova un altro cimitero della “trash fashion”, e gli oceani continuano a riempirsi di rifiuti di plastica.

Plastica: serpente di rifiuti
Un serpente di rifiuti

Sarebbe doveroso, quindi, che oltre agli incontri internazionali, dove i potenti del mondo continuano a discutere sul tema ambientale con mega convegni, si passasse finalmente a trovare soluzioni reali e possibili, con il supporto delle forze politiche, delle istituzioni internazionali, dei cittadini della Terra e degli scienziati, che cercano di districarsi tra burocrazie e ostacoli, per salvare il nostro Pianeta martoriato, purtroppo sempre più difficile da salvaguardare e che, nonostante tutti gli sforzi che ci saranno, non tornerà mai più come prima.

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